martedì 13 ottobre 2009

Per avere uno sguardo limpido


Gruppo 6: visita alla parte "West Bank" di Gerusalemme, di Bnei Adam, Halamish, Ni'in e di Modi'in Illit, insediamenti Israeliani. Nel pullman insieme a Tonio Dell'Oglio di Libera, Michele Curto, infatigabile ed entusiasta  responsabile del nostro gruppo, e Noa, rappresentante appassionata di Peace Now.

Per avere uno sguardo limpido e capire le ragioni israeliane, ritorno al sogno di Ben Gurion, all'utopia  sionista che non era, come ci racconta Avraham Burg nel suo libro "Sconfiggere Hitler" una semplice iniziativa di salvataggio del popolo ebraico minacciato dai suoi persecutori, bensì piuttosto come la sfida per costruire un paese e una società più giusti, fondati sull'amore del prossimo. In altre parole, un paese e una società dove fosse bandito tutto ciò che ci è stato inflitto in quanto minoranza perseguitata. Oggi, questa grande istanza umanitarista non ha più ascolto in Israele: i conflitti sociali e territoriali hanno assestato un duro colpo ai valori e lasciare tramontare l'orizzonte del pensiero e delle aspirazioni nazionali".
Leggo queste parole ad alta voce ai miei compagni di viaggio e cerco di ricordarmele quando ci fermiamo davanti ai cancelli degli insediamenti, quando vediamo i poliziotti israeliani accostarsi con la  range al nostro pullmann, avvicinarsi dapprima in allerta e poi solo  incuriositi a noi, lasciarsi avvicinare da alcuni dei nostri che sono lì, sinceramente, per ascoltare le loro ragioni e, infine,  rispondere  alle domande di chi cerca di capire il perché di tante armi, di tanta violenza, di una difesa durissima dei loro territori troppo spesso occupati con veri atti di soppruso. Loro  invocano le ragioni della sicurezza, evocano le loro paure, e le loro buone ragioni per essere lì, nella terra dei padri.

E così si fa  pesante, si trasforma in incubo il muro  di cemento che ci accompagna lungo il cammino, il muro invalcabile, difeso con i fucili dagli Israeliani, pronti a colpire  con pallottole di gas  i pacifisti palestinesi  di Ni'in, decisi ,come le madri di Plaza de Mayo, a riunirsi ogni venerdì davanti  al muro che ha diviso le loro casa dalle loro terre, per prolamare in silenzio le loro ragioni. Ci accostiamo tra i fantasmi di morti evocati da Hassan Mousa, professore di Inglese della scuola del villaggio, al muro reale, insanguinato dai molti morti che hanno cercato di attraversarlo, hanno cercato di abbatterlo, il muro che divide spesso in due parti i villaggio palestinesi, il muro nato per proteggere gli israeliani, sta diventando il monumento che urla muto in faccia al mondo la loro crudeltà.
Filo spinato e mura che abbiamo visto nella foto dei campi di concentramento che rinasce qui, costruito proprio dalle vittime della Shoah.
Alla fine della nostra giornata da "incubo" in cui abbiamo visto crescere i muri dei palazzoni  degli insediamenti abusivi israeliani,  mi ritornano in mente le parole di Burg ascoltato a Mantova: " Noi Israeliani siamo diventati come Hitler voleva. Questa è la sua vittoria postuma e il nostro obiettivo oggi più che mai è di "sconfiggerlo" cambiando radicalmente strada. 
So che altri gruppi hanno incontrato pacifisti israeliani, commossi dai tentativi, come lo siamo stati noi, di non lasciare che la violenza vinca.

Alla fine della giornata mi viene in mente il paradosso di Swift: "Le utopie di chi ha voluto costruire il paradiso in terra si sono sempre trasformate in autentiche macchine infernali". Ecco il male sta proprio lì: nel tracciare la prima linea per dividere, il solco,  ha la valenza di un gesto sacro che ha sempre il dupplice aspetto di apparizione benefica e spaventosa. Forse i fratelli Abele e Caino, Romolo e Remo sono una sola persona: uno l'ombra dell'altro e oggi potremmo pensare che i Palestinesi sono l'ombra degli Israeliani, gli immigrati sono l'ombra dei popoli autoctoni, i migranti degli stanziali. Non è facile riconoscerci nella nostra ombra, il primo moto e quello della repulsione, della fuga.

Eppure l'ombra ritorna, noi non possiamo liberarcene, tanto vale allora, come direbbero  gli psicanalisti, integrarla in noi, e noi che siamo qui, in questa missione di pace,  dobbiamo almeno essere consapevoli che Palestinesi e Ebrei sono parte di noi stessi. Il nostro primo passo è di conoscerli, di abbattere i nostri muri cresciuti sui pregiudizi, sempre in agguato, e pronti a crescere e a moltiplicarsi, insediamenti abusivi della nostra anima. 

Mimma Forlani

Foto di Laura Troja

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