lunedì 12 ottobre 2009

lunedì 12 ottobre 2009: ascolto e dialogo in Israele

In mattinata abbiamo raggiunto Sderot città israeliana confinante con Gaza.

Ad accoglierci Eric Yellin presidente dell’associazione israeliana pacifista The Other Voice.

Sderot è nata negli anni 50 da immigrati ebrei provenienti dal nord Africa. Nell’ultimo decennio si sono uniti immigrati provenienti dalla Russia, in particolare dal Caucaso, e dall’Etiopia.
Sderot viene descritta come una città traumatizzata. Dall’allarme aereo passano 15/20 secondi prima dell’arrivo di un missile Kassam.
La maggior parte della case hanno una camera blindata. Le fermate del bus sono blindate. Nei cortili degli asili vi sono giocattoli a forma di enormi bruchi dove i bimbi possono rifugiarsi.

I Kassam vengono fabbricati quasi tutti a Gaza. Sono costruiti "artigianalmente" da "operai" che hanno di solito imparato attraverso addestramenti in paesi come Giordania, Siria e, sembra, Iran. Ad oggi la portata è arrivata a 40/50 Km. Fanno danni alle cose per un raggio massimo di 50 m.

Negli anni ne sono arrivati su Sderot 4/ 5000. Per fortuna sono artigianali.

Ci è stata mostrata la collina dalla quale si vede sia Sderot che Gaza. Durante la guerra erano accampati i giornalisti per mostrare lo spettacolo d’artificio per soddisfare la morbosità dei telespettatori.

All’università abbiamo incontrato Julia Chaitin, psicologa, docente di scienze sociali.

Ha descritto i 2 popoli come guerra dipendenti, assuefatti come dal fumo delle sigarette. Da decenni conoscono solo la guerra. “Va bene la pace ma non deve cambiare nulla!”. C’è una paura inconscia al cambiamento. Questa paura va affrontata. Sofferenza produce sofferenza.

Da ebrea ci ha descritto come il suo popolo, abituato ai ghetti, con il muro si senta più sicuro fisicamente e psicologicamente. Il muro per l’israeliano è invisibile come sono invisibili i palestinesi. Se non vedi un popolo vedi solo gli stereotipi. Naturalmente questo non vale per i palestinesi.

Eric Yellin la sua associazione cerca di vedere l’esperienza con gli occhi dell’altro.

Non siamo solo noi a soffrire, dobbiamo trovare la forza per connetterci con l’altra parte.

Dobbiamo trovare l’alternativa alle armi che hanno dimostrato di non funzionare.

Non serve capire chi soffre di più: BISOGNA CONDIVIDERE LE SPERANZE.

Un ex soldato palestinese, incontrato nel pomeriggio, ha abbandonato le armi per militare nell’associazione israelo-palestinese Combattenti per la Pace: “Dobbiamo usare la forza dell’umanità per combattere le brutalità!”. L’anno scorso un poliziotto israeliano gli ha ammazzato il figlio di 2 anni, fuori dall’asilo, con un proiettile di gomma. Ha proseguito: “Dobbiamo essere il cambiamento”.

Mario

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