lunedì 26 ottobre 2009

Diario di viaggio: Gli insediamenti dei coloni


Il nostro simpaticissimo giovane accompagnatore ebreo è stato militare. Ha disertato, ha subito il carcere, ha deciso di dedicarsi al problema degli sfratti e delle demolizioni di case palestinesi nella Gerusalemme est.

Ci fa incontrare
Mariam Rawi che con la sua famiglia (38 persone) è stata sfrattata da circa tre mesi. Sfrattati e buttati fuori dalla casa dove abitavano dal 1957. Non hanno documenti che dimostrino la proprietà.
Mariam con altre donne e bambini sta sotto un telo (non si può chiamare tenda) sul marciapiede di fronte alla sua ex casa, nella quale l’israeliano che la occupa, sta lavorando, immagino, per ripararla e sistemarla a suo gusto. Ci ha visto, siamo una cinquantina di persone sulla strada, e lo vediamo pure noi alla finestra con il telefono all’orecchio. Sta chiamando la polizia che arriva tempestivamente. Si fermano, ci osservano senza scendere dal veicolo, c’è perfetta calma, fanno dietrofront e se ne vanno lentamente.

Salutati gli sfrattati, dopo che abbiamo, con sollievo, assistito anche al ritorno del figlio di una signora della tenda che era stato prelevato di primo mattino dalla polizia per un interrogatorio,
ci dirigiamo verso un insediamento, dove potremo incontrare un colono israeliano.
Già da lontano, in una zona desertica e arida, possiamo ammirare una bellissima città costruita sulla sommità di alcune alture. Nella mia immaginazione un insediamento doveva consistere in qualcosa di abbastanza ridotto, invece Ma’aleh Dumin, così si chiama questa occupazione israeliana, conta circa 40000 abitanti.
Arriviamo al Municipio, un edificio ampio e moderno dove possiamo usufruire di bagni, acqua filtrata e fresca.

Ci viene a prelevare Ghidon, ebreo americano, un uomo ben piantato e sicuro di sé, che ci guida in un giro per la città con la corriera. Le strade sono esemplarmente pulitissime, numerosi giardini ben tenuti , piante e alberi annaffiati.
Gli edifici e i condomini ordinati e bianchissimi. Regna la tranquillità e la pace.
Completata la visita, Ghidon ci accoglie in una saletta e apre il dialogo raccontandoci che questa meraviglia è sorta nel deserto, sui terreni “disputati”, con lo sforzo dei coloni e con la collaborazione di Gerusalemme che ha fornito l’acqua, i materiali di costruzione e facilitazioni sulle tasse.
L’esercito israeliano ha anche provveduto alla difesa dai franchi tiratori palestinesi. A tutto questo Lisa obietta che questi sono territori occupati e non disputati, al che Ghidon con una certa arroganza controbatte che in altre occasioni li definisce addirittura come territori liberati.

L’angoscia si accumula dentro di me di fronte a tutte queste situazioni violente e assurde ma improvvisamente mi sgonfio perché mi assale una constatazione velenosa: le nostre tante situazioni italiane portate all’esasperazione.
Abbiamo incontrato un “normale” colono israeliano e fra qualche giorno ritroveremo un “normale” sindaco di Treviso

Miglioranza Claudio

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