mercoledì 14 ottobre 2009

DIARIO DALLA PALESTINA

Scrivo questo diario dalla Palestina e da Israele, dove mi troverò per 7 giorni, in occasione della Settimana per la Pace in Medio-Oriente. 7 giorni per vedere ed essere testimone. 7 giorni in cui cercheremo di costruire, o meglio di farci promotori di una pace partendo dal basso, parlando e mostrandoci il più possibile "vicini" alle persone che qui lottano per averla.



1° giorno

Siamo atterrati a Tel Aviv alle 14.40 e da domani iniziamo gli incontri con i ragazzi palestinesi e israeliani.
Oggi siamo stati a Betlemme, dove alloggiamo, per la presentazione del progetto Europeo “Time For Our Responsibilities”, nato dall’appello di Barack Obama ai popoli arabi e europei di prendersi le proprie responsabilità riguardo alla situazione in Medio-Oriente.
Betlemme è una città strana, piena di incongruenze. Si trovano l’uno di fianco all’altro locali stereotipati della cultura Occidentale e mucchi di pattumiera in fiamme. Ricchezza affianco a povertà assoluta.
Poi cosa che ci lascia perplessi è senza dubbio il muro che sta costruendo Israele e che circonda ¾ della città. È un muro inquietante, alto 8 metri. Ed è incredibile come noi, abituati a vivere nella libertà, non riusciamo proprio a concepirlo.Solamente quando ci si trova letteralmente sotto di esso, quando la sua imponenza e la sua freddezza ti sovrastano e ti separano di netto da tutto il resto. Ci si sente quasi soffocare, in prigione.


2° giorno


Oggi siamo partiti alla volta di Gerusalemme Est, dove abbiamo incontrato i ragazzi palestinesi.
Il primo CheckPoint è stato breve ma intenso. Passare lungo ringhiere strette, con militari che camminano sopra la tua testa, e oltrepassare porte metalliche solamente quando scatta la luce verde, non è facile. Ti senti impotente e improvvisamente quella porta è difficile da spingere, perché la avverti pesantissima. Avverti tutto il peso dell’oppressione che rappresenta.
Malgrado tutto siamo arrivati in città, dove in mercati immensi si alternano negozi di spezie, vestiti e militari Israeliani armati, che semplicemente stanno lì, fermi, a controllare. Vietato fotografarli.
Raggiunta la sede degli Afropalestinesi abbiamo conosciuto ragazzi della mia età, 16-17 anni, aperti al dialogo. Credono nella pace, e sono disposti ad incontrare per parlarci anche “il loro nemico”, Israele. Sono tutti giovani, ma maturati in fretta.
Infine, quasi alla fine della giornata, siamo stati ad Aida, da 61 anni campo profughi a Betlemme. Qui le persone vivono in una povertà assoluta, circondati da sporcizia e macerie. Ci sono bambini dappertutto, con uno sguardo felice che nasconde però un’infanzia rubata. Rubata da un muro che ci dicono “non solo separa le nostre terre, ma ci separa anche dai nostri sogni”. Ed è proprio su questo muro che ho conosciuto un bambino, che si mostra sempre solo di spalle. Si chiama Handalà ed è un fumetto. Il suo autore ha detto che solo quando ci sarà pace lo raffigurerà di fronte. Peccato che l’autore sia morto assassinato a Londra, e Handalà non si girerà mai. Sembra avere perso la speranza, come tutti i bambini di questo campo.


3° giorno



Oggi sveglia alle 6.00 e partenza per l’alta Galilea. Dobbiamo raggiungere i ragazzi Israeliani a Misgav (Sacnin).
Ci arriviamo con 2 ore di ritardo, a causa della protesta di alcuni autisti dei pullman e dei checkpoint. Qua tutto questo è normale, questa è la loro normalità.
Comunque, arrivati, iniziamo il dialogo con questi ragazzi. Studiano ad Hand And Hand, l’unica scuola che raccoglie insieme studenti Arabi Israeliani e Ebrei. L’unica scuola che cerca di unire queste due culture che compongono lo stato di Israele.
Mandare i propri figli a questa scuola è una scelta basata sul fatto di credere nella Pace e nella convivenza, ed è proprio questa l’idea che esprimono questi ragazzi.
Poi abbiamo mangiato tutti insieme nel vicino Kibbutz, dove la conversazione si è approfondita specialmente con una ragazza. Crede nella Pace, ma non vede l’ora di iniziare la leva obbligatoria. Ha addirittura deciso di fare 5 anni invece dei 2-3 previsti per lei.
Dice anche che forse non andrà all’università per fare la carriera militare. Lo motiva dicendo che sarà divertente, ma forse non sa a cosa va realmente in contro. Forse il suo spirito nazionalista è troppo forte. E intanto parla di Pace, per ora.


Ilo Steffenoni

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