lunedì 19 ottobre 2009

La Notte delle candele


Questa sera la piazza di Bethlehem è stata illuminata da tante fiammelle di candela, simbolo di Pace. Siamo al sesto giorno della settimana per la pace in Israele e Palestina “Time for Responsabilities”.
Siamo qui per assumerci le nostre responsabilità di Europei in un conflitto complesso, incredibile e di cui non si vede soluzione.

Abbiamo incontrato persone di tutti i tipi: Palestinesi dei villaggi, Israeliani pacifisti, profughi nel terribile campo di Gerusalemme, operatori dell’UNRWA (l’agenzia ONU che gestisce i campi profughi), i nostri Diplomatici, Sindaci, Amministratori, donne uomini bambine e bambini palestinesi e israeliani.
Domenica 11 a Ramallah abbiamo avuto un incontro con il Primo Ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad, lo stesso giorno avevamo partecipato insieme a lui a una manifestazione per il diritto del Palestinesi a raccogliere le proprie olive; alla manifestazione erano presenti anche il Ministro dell’Agricoltura dell’Autorità Nazionale Palestinese, rappresentanti delle Nazioni Unite, rappresentanti diplomatici della Svezia e del Giappone.

Questa complicata marcia vede nella piccola Bethlehem e in giro per i territori palestinesi e israeliani oltre 400 rappresentanti di Enti Locali, ONG, Associazioni italiane; una iniziativa di “diplomazia dei cittadini”. Stiamo sostenendo le manifestazioni per il diritto a raccogliere il frutto delle proprie coltivazioni, le organizzazioni che si oppongono alla demolizione delle case di palestinesi, e le manifestazioni contro il muro.
Questo muro che è la nuova vergogna del mondo, che divide i figli dai genitori, le case dagli orti, un villaggio dall’altro e che opprime tutti, anche noi, con la sua presenza, le sue torrette armate, i quintali di filo spinato, i suoi checkpoint angoscianti.

Convivere col muro: partiamo da Betlemme alle 7,30 verso Gerusalemme, in pochi minuti siamo al muro e al suo checkpoint “Tomba di Rachele”, i veicoli sono tutti in fila a passo d’uomo, sul muro una scritta che lo paragona a quello del ghetto di Varsavia; arriviamo alla sbarra, fanno entrare il pullman e ci fermano prima della rotonda dentro al checkpoint. Passaporto in mano, contornati da tre soldati armati di mitra, veniamo instradati verso un tunnel/cunicolo dove scendiamo zigzagando fino a un antro controllato a vista dai soldati armati sopra di noi, come nelle prigioni. In fila, molto lentamente passiamo il controllo del passaporto, c’è anche la macchinetta per le impronte digitali ma è spenta; riprendiamo a zigzagare in salita, altro tunnel e, finalmente, l’uscita. Il pullman ci attende a fianco alla rotonda fiorita: c’è anche l’aiuola dentro il checkpoint!
Saliamo sul pullman, passiamo l’ultima sbarra e finalmente siamo fuori con 45 minuti di ritardo.

Alla Porta di Jaffa sale con noi un amico Palestinese, con lui visitiamo un villaggio fra Gerusalemme e Ramallah. Dopo la prima visita lui scende, sale sulla macchina di amici e parte per il suo giro: non può proseguire la strada con noi verso il prossimo checkpoint, dovrà fare un giro più lungo sulle strade riservate ai Palestinesi. Arriviamo al checkpoint, ci fermano, non vogliono controllare i passaporti ma non ci fanno passare. Nello stupore generale i soldati spiegano che stiamo percorrendo una strada riservata ai coloni dei nuovi insediamenti israeliani, dove i turisti non possono passare. Occorrono circa 20 minuti di trattativa per convincerli e ripartire. Al prossimo incrocio attendiamo il nostro amico palestinese che ha dovuto fare un giro molto più lungo del nostro. E’ passata così mezza giornata, abbiamo fatto la metà delle cose programmate.
Per i Palestinesi passare i checkpoint è molto più complesso, lungo e doloroso, trascorrono lì dentro ore e non c’è mai certezza di poter uscire dall’altra parte.

Questa mattina una delegazione (fra loro anche Angelo Cifatte del Comune di Genova in rappresentanza dell’AICCRE), è andata a Gaza, dove nulla è stato ricostruito, nonostante le promesse, ci dice Filippo Grandi dell’UNRWA, dove la gente cerca di sopravvivere ammassata in mezzo a macerie, spazzatura e distruzione. La densità della popolazione è altissima, la maggior parte sono bambini.
Ci raccontano che Gaza è peggio della situazione del Campo Profughi di Gerusalemme che abbiamo visitato tutti ieri mattina. Al campo si accede attraverso un corridoio chiuso da rete metallica e un checkpoint, per Gaza i controlli sono quattro.
Al campo si vive in mezzo ai rifiuti e alle macerie delle case demolite perché “abusive”, i rifiuti vengono bruciati lungo le strade e i bambini crescono nella diossina. Il campo è stato realizzato per 3.500 persone, oggi ce ne sono 18.000, ma senza tutti i permessi in regola non si può costruire, le case abusive vengono demolite dai soldati israeliani. Anche gli operatori ONU vengono controllati dai soldati israeliani e non possono portare dentro il campo neppure un sacco di cemento. Camminando per quelle strade la sensazione è di schifo. Posso solo provare a immaginare Gaza.

Elide Taviani

Nessun commento:

Posta un commento