venerdì 16 ottobre 2009
Strisce da Gaza
Quasi due ore di checkpoint per entrare a Gaza. Sono partito con un po' di timore, ma soprattutto con una grande voglia di vedere con i miei occhi cosa vuol dire vivere là, perché fino ad oggi io avevo solamente sentito storie.
È stata un’esperienza forte. Tutto quello che ho visto è difficile da digerire, perché là è il “nulla”. Solo macerie. Macerie e rassegnazione, e chi non è rassegnato è carico di rabbia.
Ho visto una distruzione che è totale e ho visto le fondamenta di un palazzo che prima di essere fatto esplodere era stato riempito di 40 civili palestinesi. Ho visto che cosa significa la guerra
Quello che ho visto mi ha cambiato. Sento il bisogno di tornarci, perché è una regione in cui nel buio più totale ogni tanto spunta uno spiraglio di luce. Una luce forte, che potrà espandersi in futuro, ma bisogna aiutarla.
Non posso dimenticare tre ragazzi della mia età con cui ho parlato nel luogo che una volta era un quartiere, e che adesso è una distesa di macerie. Due sono rassegnati, ma uno no. Le sue parole sono cariche di rabbia e di dolore, e finché mi racconta di come la sua casa sia stata distrutta da un missile, io mi rendo conto di una cosa: che se io fossi stato un Israeliano, mi avrebbe ucciso.
Lui è nato nella guerra, è cresciuto nella guerra, comprende solo la guerra e morirà nella guerra. Perché chi nasce a Gaza non ci potrà mai uscire, morirà a Gaza. Perché si trova in una enorme prigione a cielo aperto. Si trova in prigione nella sua terra.
Ilo Steffenoni
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