martedì 20 ottobre 2009

Pacifisti


“Ma tu ti ricordi esattamente che cosa prevedevano gli accordi di Oslo?”. La voce di una donna, accento toscano, risuona in fondo al pullman. Si viaggia fra Gerico e Betlemme. E' tardi, è già buio, la giornata è stata lunga, fa ancora caldo, molti dormono, ma la domanda non cade nel vuoto. L'amica, che le siede accanto, non ricorda troppo bene, non sa dare una risposta precisa, ma le due donne vanno avanti per un po' a discutere su quell'accordo che nel 1993 tentò di risolvere il confitto fra israeliani e palestinesi.
Il popolo della pace è fatto così. Ragiona, discute, vuole imparare e conoscere. E' quello che dal 10 al 17 ottobre hanno fatto gli oltre quattrocento partecipanti all'iniziativa che ha portato in Israele e in Palestina la tradizionale Marcia per la pace Perugia-Assisi. Quest'anno la Marcia si è spostata a Gerusalemme per un progetto che è stato denominato Times for Responsabilities (il tempo delle responsabilità). Il nome riprende una frase pronunciata dal presidente Barack Obama: “Per giungere alla pace in Medio Oriente è ora che loro, e noi tutti con loro, ci assumiamo le nostre responsabilità”. “Se Obama fallisce si apre una voragine profonda per tutti, anche per noi europei. Perciò non c'è più tempo da perdere, bisogna agire prima che sia troppo tardi”, dice Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace.
Organizzata dal Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, dalla Piattaforma delle Ong italiane per il Medio Oriente e dalla Tavola della Pace, l'iniziativa ha portato in Israele e nei Territori palestinesi amministratori locali, sindacalisti, studenti, insegnanti, persone impegnate in varie Ong e semplici cittadini. C'erano i ragazzi del Liceo Maffei di Verona e il quasi ottantenne Diego Novelli , l'ex sindaco di Torino, ancora curioso delle vicende del mondo. C'era don Tonio Dell'Olio di Libera e i ragazzi di Terra del Fuoco, l'associazione torinese che ogni hanno educa alla cittadinanza portando migliaia di studenti ad Auschwitz.
Sono venuti da 128 città italiane. In una settimana hanno consumato le suole delle scarpe sulle strade della Terra Santa, hanno steso fiumi di inchiostro sui fogli e quaderni riempiti di appunti, hanno scattato centinaia di fotografie. Hanno sentito la voce dei palestinesi e quella degli israeliani. Hanno visitato i campi dei rifugiati e gli insediamenti dei coloni ebrei. Tutti insieme, poi, sono entrati nel museo di Yad Vashem a Gerusalemme, dove viene ricordato l'orrore dell'Olocausto.
Ora sono tornati a casa pieni di ricordi e di emozioni. “Un viaggio qui attraversa la vita delle persone, perché la realtà che vedi è troppo forte. Questo è un viaggio che ti cambia la vita”, assicura Luisa Morgantini, l'ex parlamentare europea che viene regolarmente da queste parti dalla metà degli Anni Ottanta.
Divisi in gruppi i 400 partecipanti hanno vissuto diverse esperienze. Ogni giorno c'era quella di passare i check-point che, attraverso il muro fatto costruire dal governo israeliano, regolano gli accessi fra Israele e i Territori palestinesi. Il passaggio del muro è già un primo modo di confrontarsi con i problemi irrisolti di questa terra divisa e insanguinata. Ed è uno shock per i più giovani, magari nati quando il muro di Berlino era già crollato. Una di loro è Paola Calliari, una liceale diciottenne di Trento che ha deciso di unirsi alla Marcia per capire e conoscere. Paola si è alzata anche in piena notte per vedere la ressa dei palestinesi che si accalcano ai check-point per andare a lavorare in Israele (le immagini si possono vedere in un bel reportage di Raffaele Crocco ed Enrico Guidi su www.youtube.com/perlapace).
A Bil'in e a Na'alin, due villaggi della Cisgiordania, abbiamo incontrato le comunità che ogni venerdì organizzano manifestazioni non violente contro il muro. Di solito finisce male perché i militari israeliani rispondono alle proteste sparando lacrimogeni molto potenti (ci sono stati anche dei morti). I palestinesi protestano perché il muro spesso taglia i campi coltivati e gli uliveti. Accanto a loro ci sono pacifisti da varie parti del mondo e anche israeliani, come i volontari di Yesh Din, un'associazione che si batte perché Israele rispetti i diritti umani della popolazione palestinese nei Territori. Anche venerdì scorso c'è stata la marcia di protesta non violenta e puntuali sono arrivati i lacrimogeni. Ma la gente dei villaggi non si arrende perché, come ci ha detto il primo ministro palestinese Salam Fayyad, “le nostre radici in questa terra vanno in profondità come quelle di questi ulivi”.
A Sderot, la cittadina israeliana più vicina alla Striscia di Gaza, abbiamo ascoltato le voci degli israeliani con i nervi spezzati per le migliaia di razzi che negli ultimi anni i militanti di Hamas hanno lanciato verso Israele. A Sderot i rifugi sicuri sono dovunque, alle fermate degli autobus così come nei campi gioco per bambini. Julia Chaitin, una psicologa, racconta dei traumi nella popolazione locale e spiega come si regola per sfuggire a eventuali razzi quando si mette in macchina per raggiungere l'università. Ma nonostante la paura si cerca di aprire canali di dialogo con la gente di Gaza. Eric Yellin, dell'associazione Other Voice (Altra voce) spiega: “Non ha senso fare paragoni fra le nostre sofferenze e quelle di chi vive a Gaza, cerchiamo piuttosto di condividere le nostre esperienze e troviamo un'alternativa ai razzi e ai carri armati. Li abbiamo usati per anni da una parte e dall'altra, ma abbiamo visto che non servono a nulla”.
E' stato emozionante l'incontro con due rappresentanti di Parents Circle, l'associazione che raccoglie i familiari delle vittime del conflitto, sia israeliani che palestinesi. Robi Damelin ha raccontato di suo figlio David, un militare israeliano di 27 anni ucciso da un cecchino. Ali Abu Awwad, palestinese, invece ha rievocato la morte del fratello Yusuf, ucciso dai militari israeliani. Ora, insieme, cercano la riconciliazione, anche se si tratta di un percorso lungo e difficile.
Una piccola delegazione è riuscita a visitare per qualche ora Gaza. Nell'incontro con Hamad Yusuf , esponente del governo di Hamas, Flavio Lotti ha spiegato che deve cessare ogni forma di violenza e occorre dialogare a tutti i livelli, anche con gli israeliani. Nella delegazione entrata a Gaza c'era anche Ilo Steffenoni, 16 anni, del Liceo Maffei di Verona. “Ho visto rassegnazione, rabbia e dolore”, dice, da domani non posso tornare a casa e riprendere la mia vita come se nulla fosse”.
Ora Ilo e gli altri 400, tornati a casa, racconteranno. Mobiliteranno persone ed energie. Si rivedranno il 16 maggio 2010 alla marcia da Perugia ad Assisi.

Roberto Zichittella

Pubblicato su Famiglia Cristiana